CARCUPINO FERNANDO
MILANO
Pittore professionista - (Milano 23 luglio1922 - 22 marzo 2003).
Studiò al Liceo Artistico e all'Accademia delle Belle Arti di Brera a Milano. Visse molto all'estero, nel Nord Europa, negli Stati Uniti d'America, in Africa e in estremo Oriente. Famoso per i suoi nudi femminili, per le sue maternità, per i suoi ritratti, per i suoi paesaggi e per le sue nature morte, ottenne ovunque larghi consensi di critica e di pubblico. Nel 1983 il Presidente della Repubblica lo nominò "Cavaliere della Repubblica per Importanti Meriti Artistici"; nel 1989 eseguì, su commissione, uno splendido ritratto del Papa Woityla a due anni in braccio alla sua mamma e in quella occasione il Papa invitò il Maestro in Vaticano per conoscerlo personalmente.
Allestì numerose mostre personali in Italia e all'estero e prese parte, su invito, ad importanti mostre collettive e rassegne d'arte.
Si distinse anche nel campo dell'illustrazione; importanti editori di tutto il mondo hanno pubblicato le sue opere. Il suo nome figura nei più importanti cataloghi nazionali e internazionali d'arte; di lui hanno scritto autorevoli critici e giornalisti su quotidiani, periodici e pubblicazioni d'arte specializzate. Collaborò con importanti editori in tutto il mondo e per diversi anni fu l'autore delle illustrazioni del calendario del Frate Indovino.
Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in tutto il mondo e in permanenza presso la Galleria d'Arte Gelmi Sesto San Giovanni (MI) via Marconi 11 tel. 02 2426800.

 

 “Un'opera d'arte ci deve comunicare qualcosa, ma ci deve anche allontanare; compongono la sua essenza comprensione e distanza: e distanza: sofferenza e ironia. Così avventurandomi attraverso gli anni tra i quadri di mio papà, mentre io cambiavo e loro cambiavano e io li guardavo di volta in volta con curiosità e ammirazione, con stupidità e turbamento (ma sempre con orgoglio), insomma, mentre la mia coscienza lentamente costruiva un'idea unitaria di questa pittura, di lui e del mondo, c'erano due costanti che mi indicavano la strada, ed erano il dolore e l'ironia. Certe volte l'ho visto dipingere, ho visto mentre si faceva quella cosa meravigliosa, sorprendente e che un po' ci prende in giro, che è un quadro; perché dalle pennellate, dai colpi di spatola, dall'enorme sapienza tecnica nascevano invece delle espressioni, dei sentimenti, delle sensazioni. Quando si guarda un quadro spesso si dimentica di pensare che prima, anzi contemporaneamente a quell'immagine intera che ci viene presentata ci sono migliaia di piccoli gesti, e migliaia di pensieri e di intenzioni. E questo distingue i quadri voluti da quelli casuali, gli effetti pensati da quelli banalmente istintivi. Perché ci sono almeno due cose che ho capito guardando i quadri di mio papà: la prima è che la fantasia non è un genio pazzerello e volubile, ma è invece una forza mostruosa e demiurgica; e l'altra, è la forma che da vita al contenuto, perché forse tutti abbiamo spirito, ma solo un artista lo rende percepibile. I nudi di donna, i paesaggi, le maternità, le nature morte di Carcupino. Dalla diversità dei soggetti e dalla tecnica che certe volte sembra quasi che si allontani dal carattere di chi l'ha creata, viene fuori però sempre una realtà fatta di pieni e di vuoti, di masse contrapposte, dove i contorni sono solo vizi della nostra percezione. E l'ironia e il dolore passano di volta in volta dalle espressioni delle donne, alla composizione delle forme e degli oggetti che nascono da tratti violenti, disperati, certe volte così carichi di forza che lui vuole quasi nasconderli in soggetti più innocui, o in sfumature più vaghe. In modo tale da renderli innocenti per chi ha paura, per chi non sa però che non c'è mai innocenza in un segno. Non credo che sia necessario conoscere l'artista per capire la sua arte; ma nella mia posizione posso dire che conoscere lui mi ha aiutato a guardare i suoi quadri con sguardo più asciutto, e guardare i suoi quadri mi ha aiutato a capire lui. C'è chi direbbe che dipingere è solo questione di tecnica, ma da dove vengono allora quella malinconia, quel senso di abbandono, quell'intelligenza e quell'audacia che ci sono nelle figure di questi quadri, nel loro atteggiamento, e sempre di più nei tratti che le compongono, nelle luci, nelle ombre, nel contrasto dei colori? Un fiore riesce a diventare aggressivo nei quadri di mio papà, e la sensualità violenta delle donne sembra che sconfini in un mondo pensoso e distante. Credo che quando mio papà dipinge ci sia in lui al di là di una gioia momentanea un pensiero che si tormenta, ma la passione del mondo lo attira sempre, e lo costringe a rappresentarlo. Tutto questo si legge nei suoi quadri, l'amore, la lontananza e anche l'indifferenza. Bisogna guardarli come se parlassero contemporaneamente infinite stratificazioni di linguaggi in un solo discorso; cioè qualcosa di molto complicato e di molto semplice:

1986 Steafania Carcupino

 

 

"... Quel che vale maggiormente la pena di sottolineare è l'ammirazione per un genere di pittura che, a questo livello, fa gridare al miracolo... Fernando Carcupino, un maestro che della donna sa cogliere non solo la bellezza - e quindi l'armonia - ma anche i sentimenti più riposti. Tenerezza e malinconia, sensualità e mistero, splendono nelle sue tele, una più bella dell'altra...
Chi sa guardare scopre altri segreti. la luce, la plasticità delle immagini, la loro profondità. La donna torna ad essere il centro dell'universo. Pur nella sua avvincente modernità, Carcupino è un classico"

Ignazio Mormino

 

 

"... I miei nudi non sono mai nudi idealizzati, ma donne osservate in momenti di intimità, momenti privati della loro vita quotidiana. In questo modo credo di riuscire a rappresentare di più quello che penso della persona umana, in particolare di lei, la donna. E' tale la considerazione che ho per la donna che non potrei mai concepire una sua idealizzazione. Nessuna sublimazione, nessuna interpretazione poetica o spirituale, nessuna purificazione estetica può superare la
bellezza della realtà così com'è.

"... Secondo me un pittore completo e onesto dovrebbe cimentarsi in qualsiasi soggetto, come i grandi del passato. In virtù di ciò amo dipingere un pò di tutto, anche se debbo ammettere che prediligo anche la natura morta. Forse perché nella natura morta trovo dei punti in comune con il nudo. Non so... vedo nei volumi, nella plasticità delle forme... un qualche cosa di sensuale...".

1993 - Fernando Carcupino.

 

"Il nudo femminile come celebrazione di bellezza interiore ed esteriore e di un irripetibile fascino formalmente estetico, dipinto con tratti sicuri nella magistrale opera pittorica di Fernando Carcupino. Donna madre, donna amante, donna amica.
Un Casanova della pittura con calde notazioni coloristiche e l'indiscusso valore di una vera e rara professionalità che ha adottato l'arte per esprimere molteplici interessi e sensibilità verso aspetti importanti, forse fondamentali della vita".

 

1998 - Giuseppe Patellaro.

 

 

"... Essenziale e perfetto nel segno grafico, Carcupino si esprime con un colore e una luce preziosamente funzionali, usati in una unità tonale che lega suggestivamente le figure e gli sfondi da cui emergono (tecnica particolarmente difficile che rinuncia al facile contrasto coi vari colori ma che crea il poetico linguaggio della 'atmosfera'), forte e generoso nel momento creativo, a volte audacemente vicino alla scomposizione di una plasticità femminile che pur mantiene la sua armonia e il suo conturbante fascino.
Il suo nudo di donna, solitamente vibrante e denso nella composizione singolare, si fa dolce e morbido nelle maternità anche se il colore non perde di intensità e di vigorosa luminosità. Nelle nature morte il colore e il dosaggio della luce trascendono la realtà figurativa del tema prescelto e compongono un'atmosfera di grande suggestione.
Singolare la sua interpretazione del Cristo in croce, a figura intera o soltanto in primi piani del volto, un Cristo ancora drammaticamente vivo, direi quasi forte, avvinto alla croce nel primo presentimento della morte, incupito in una scura atmosfera di dolore fisico e di irrimediabile solitudine, con gli occhi ancora aperti sul mondo con dentro una luce non dolce e smarrita ma soltanto triste..."

Ennio Concarotti